La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 18416, emanata lo scorso 12 aprile, si è occupata di un interessante caso in materia di rapporti di vicinato e, in particolare, di “disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone” (art. 659 cod. pen.).
Deve, infatti, chiedersi quando una condotta di disturbo possa effettivamente assumere rilevanza penale, dal momento che, entro certi limiti, la medesima non risulta perseguibile in via giudiziale.
Nel caso all’esame della Corte, il Tribunale di Firenze aveva assolto un imputato per il reato di “disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone”, di cui all’art. 659 cod. pen., del quale il medesimo era stato accusato a seguito delle lamentele avanzate da alcuni vicini di casa.
Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore della Repubblica decideva di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione, allo scopo di ottenere l’annullamento della sentenza.
Secondo il Procuratore, infatti, il Tribunale avrebbe fondato la propria decisione di assoluzione sul solo rilievo che il numero di lamentele avanzate dai vicini di casa era stato comunque limitato.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al Procuratore ricorrente, confermando integralmente la sentenza resa dal Tribunale.
Osservava la Cassazione, infatti, che il Giudice del precedente grado di giudizio aveva del tutto correttamente escluso la ricorrenza del reato di cui all’art. 659 c.p., in considerazione della “assenza di diffusività del rumore cagionato dall’imputato”.
Precisava la Cassazione, in particolare, che, per potersi parlare di “disturbo al riposo e alle occupazioni della persona”, è necessario che la condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, incida “sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare”.
In sostanza, dunque, un soggetto che produca dei rumori che disturbano il riposo o le occupazioni della persona può essere condannato penalmente solo se la condotta posta in essere abbia un’intensità tale da recare disturbo alla pubblica quiete, vale a dire quando tale comportamento sia idoneo a disturbare, almeno potenzialmente, un numero indeterminato di persone.
Poiché, nel caso di specie, erano stati accertati come sussistenti gli elementi che dimostravano la penale irrilevanza della condotta molesta posta in essere dall’imputato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, confermando integralmente la sentenza di assoluzione di primo grado.
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