La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5358 del 15 gennaio 2018 ha avuto modo di fornire alcune precisazioni in ordine alla configurabilità del delitto di “violenza privata” (art. 610 c.p.), in caso di diverbio tra conducenti.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista il conducente di un’autovettura, che era stato accusato di aver commesso il reato di “violenza privata”, ai danni di un altro conducente, con il quale aveva avuto un diverbio.
Nello specifico, l’imputato era stato accusato di tale reato in quanto questi avrebbe ostruito la sede stradale alla persona offesa, impedendole il transito per alcuni minuti.
L’imputato, tuttavia, era stato condannato sia in primo che in secondo grado, con la conseguenza che questi aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, dal momento che, a suo parere, non sarebbero state dimostrate “le ragioni per cui si sarebbe realizzata l’ostruzione della sede stradale né l’intenzionalità dell’ostruzione, protrattasi solo per il tempo del diverbio insorto tra i due automobilisti”.
Secondo il ricorrente, peraltro, la sentenza di condanna andava annullata, in quanto il giudice d’appello non si era pronunciato in ordine alla richiesta di applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. (particolare tenuità del fatto).
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire solo parzialmente alle considerazioni svolte dall’imputato, annullando, comunque, la sentenza impugnata.
Osservava la Cassazione, innanzitutto, che, ai fini della configurabilità del delitto oggetto di contestazione, “il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione”.
Pertanto, secondo la Corte, il reato deve ritenersi integrato anche nel caso in cui un soggetto “ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa”.
Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione riteneva che si fosse realizzato l’elemento materiale del reato di “violenza privata”, se si considera che l’imputato aveva impedito alla persona offesa “di riprendere la marcia, dopo l’alterco avuto con lui”.
Tuttavia, secondo la Cassazione, la Corte d’appello avrebbe, comunque, commesso un errore, dal momento che la stessa aveva del tutto omesso di pronunciarsi circa l’eventuale applicabilità della causa di esclusione della punibilità della “particolare tenuità del fatto”, di cui all’art. 131 bis c.p.
Tale omissione, dunque, secondo la Corte, era “idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, posto che la motivazione risulta completamente omessa su un punto specifico di doglianza, che meritava un approfondimento”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, “limitatamente alla omessa statuizione sulla richiesta di applicazione dell’art. 131/bis cod. pen. con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia”.
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