Interessante la recente pronuncia resa dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione con Ordinanza n. 22159 del 22 settembre 2017, con la quale è stato stabilito che qualora l’amministrazione finanziaria abbia avviato una causa carente dei prescritti presupposti è tenuta a risarcire il contribuente per la responsabilità processuale aggravata, con conseguente liquidazione da parte del giudice tributario anche dei danni morali che tale condotta ha provocato.
La riferita decisione trae origine dall’impugnazione da parte di Equitalia della decisione della CTR della Puglia che, confermando la decisione di primo grado, aveva ritenuto illegittime le cartelle di pagamento, per Iva, Irpef e Irap per l’anno di imposta 2001, e per l’anno di imposta 2002, nonché la conseguente iscrizione di ipoteca legale, perché non notificati, ed aveva condannato Equitalia al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., quantificati in euro 15.000,00.
In particolare, la ricorrente lamentava la nullità della sentenza gravata sostenendo in primis, l’errata valutazione, da parte della CTR, della produzione documentale delle cartelle; nonché censurando, sia per motivi attinenti la giurisdizione che per asserita violazione di norme di diritto, la statuizione resa dal giudice di appello sulla domanda di risarcimento danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
Ebbene, la Suprema Corte – pronunciandosi al riguardo – ha rigettato il ricorso ritenendo detti motivi infondati. Nella specie, infatti, i giudici di Piazza Cavour – dopo aver positivamente valutato l’operato della CTR che, quanto alla produzione documentale fornita, aveva accertato tardività e l’inadeguatezza delle notifiche delle cartelle opposte (asseritamente a fondamento dell’ipoteca legale iscritta) – hanno ribadito il costante e consolidato orientamento della Corte, secondo cui: “il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto” (Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 13899 del 2013; Corte di Cassazione, Sez. U, n. 14554 del 2015).”
Peraltro, sull’argomento, la Suprema Corte ha precisato come ben possa ritenersi raggiunta la prova dell’an, circa la temerarietà di una pretesa impositiva, alla luce dei diversi momenti della fase amministrativa e di quella giudiziale; tanto più in ipotesi come quella presa in esame, ove l’amministrazione aveva posto in essere una sequela di condotte illecite – quali la mancata considerazione della regolare pratica di condono, conclusa diversi anni prima dell’iscrizione a ruolo; lo sgravio operato con cinque anni di ritardo e a giudizio instaurato; iscrizione ipotecaria su notifica della cartella inesistente; omessa cancellazione dell’iscrizione in difformità della statuizione giudiziale e successiva rettifica per un importo inferiore al minimo di legge, con ulteriore aggravio per il contribuente; richiesta, in sede processuale, di conferma dell’iscrizione ipotecaria con riguardo ad atti estranei al giudizio e per importi non legali – attentamente valutate dalla CTR con un giudizio logico ed articolato, neppure fatto oggetto di specifica censura.
Sulla scorta di tale ragionamento, è poi con riferimento al quantum debeatur che la Corte ha evidenziato come, in assenza di elementi oggettivi di valutazione, la liquidazione del danno debba operarsi esclusivamente con “riguardo al danno morale conseguente all’accertata inesistenza del diritto degli enti impositori a chiedere l’iscrizione ipotecaria sul patrimonio del contribuente e ai conseguenti disagi psicologici che tale condotta ha provocato”, operando la quantificazione sì in via equitativa ma sulla “base degli elementi di causa”.
Fonte: Diritto.it
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