“Stretta” sulle impugnazioni con l’ obiettivo di alleggerire il carico della macchina della giustizia. E’ quanto prevedono le misure contenute nel decreto legislativo messo a punto dal ministero della Giustizia, che oggi ha avuto il via libera dal Consiglio dei ministri e passerà ora all’esame delle commissioni parlamentari.
In particolare viene riscritta parte dell’articolo 593 del codice di procedura penale sui casi di appello. Il pm non potrà più impugnare le sentenze di condanna, che hanno riconosciuto cioè i presupposti dell’accusa, a meno che la sentenza non abbia modificato il titolo del reato oppure escluso l’esistenza di aggravanti ad effetto speciale o stabilito una pena diversa da quella ordinaria del reato.
Nella stessa direzione, ossia limitare le possibilità di agire in appello, vanno anche le disposizioni che, tenendo conto delle pronunce della Corte costituzionale, prevedono che il pm possa appellare contro le sentenze di proscioglimento e che, invece, l’imputato non possa fare appello nei casi di sentenza di proscioglimento pronunciate con formula piena, quando il fatto sussiste o l’imputato non lo ha commesso.
Il decreto legislativo sulle impugnazioni si fonda sui lavori della apposita Commissione ministeriale istituita dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e presieduta da Domenico Carcano, ex capo del legislativo di via Arenula.
Orlando: effetto deflativo del 10%
«Nel processo penale il vero collo di bottiglia è rappresentato dall’appello che costituisce una garanzia preziosissima ma è uno strumento di cui non bisogna abusare». Il ministro Orlando spiega qual è la ratio dei decreti attuativi della riforma penale in vigore dallo scorso 4 agosto che secondo una stima del ministero avrà un effetto deflattivo sulle impugnazioni stimabile introno al 10%: «Si devono precisare meglio i motivi di appello. Nei casi di condanna il pm non può ricorrere contro se non per violazioni di legge, mentre l’imputato condannato può sempre fare appello ma non può farlo in caso di assoluzione qualora non sia soddisfatto della formula». «Servirebbe invece una modifica costituzionale per escludere l’appello in tutti i casi di assoluzione dell’imputato».
IL COMUNICATO DI PALZZO CHIGI
GIUSTIZIA PENALE
Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato tre decreti legislativi in materia di giudizi d’impugnazione, di attuazione del principio della riserva di codice nella materia penale e di rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Di seguito le principali previsioni dei decreti approvati.
1. Riforma del libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere (esame definitivo)
Il provvedimento riforma il libro XI del Codice di procedura penale, dedicato ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere e il cui complesso di norme è destinato a operare in via residuale, solo cioè dove non sia prevista una diversa regolamentazione discendente da accordi internazionali.
Il decreto legislativo opera modifiche alla normativa in materia di assistenza giudiziaria, ovvero la parte della cooperazione penale internazionale specificamente volta a disciplinare la raccolta della prova, in modo da superare i limiti dell’attuale sistema normativo e consentire di fronteggiare le nuove forme di criminalità, specie di quella organizzata, che hanno esteso il proprio raggio di azione oltre i confini dei singoli Stati. A questo scopo, in chiave di semplificazione, parallelamente alla regolamentazione dei rapporti con i Paesi membri dell’Unione europea, si introducono regole speciali per la cooperazione tra le autorità degli Stati che non fanno parte dell’Ue.
In particolare, il decreto statuisce espressamente il principio di prevalenza del diritto dell’Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale, stabilendo, nell’ambito del codice di procedura civile, che la cooperazione in ambito euro-unitario è regolata dalle norme del Trattato dell’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché dai singoli strumenti di attuazione dei medesimi Trattati, oltre che dalle convenzioni internazionali.
Nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea, quindi, soltanto in assenza di strumenti di attuazione dei Trattati o quando questi lascino agli Stati membri margini per introdurre disposizioni più specifiche, troveranno applicazione le convenzioni internazionali e le norme di diritto internazionale generale e, in via residuale, le norme del codice di rito. Invece, nei rapporti con gli Stati che non siano membri dell’Unione europea, la cooperazione giudiziaria si dovrà svolgere nel rispetto delle convenzioni internazionali e delle norme di diritto internazionale generale e, in via residuale, nel rispetto delle disposizioni del libro XI del codice di procedura penale, con la precisazione che le richieste di cooperazione giudiziaria da esse regolate potranno essere rifiutate anche in difetto di adeguate “garanzie di reciprocità”.
In questo quadro, il decreto detta i principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari tra Stati membri dell’Unione europea e modifica la disciplina in materia di estradizioni, domande di assistenza giudiziaria internazionali, effetti delle sentenze penali straniere, esecuzione all’estero delle sentenze penali italiane e di altri rapporti con le autorità straniere, relativi all’amministrazione della giustizia in materia penale.
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2. Disposizioni di attuazione del principio della riserva di codice nella materia penale (esame preliminare)
Il decreto legislativo attua la delega contenuta nella legge 23 giugno 2017, n.103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, con specifico riferimento al comma 85, lettera q), dell’articolo 1.
In particolare, il Governo – secondo i princìpi e criteri direttivi previsti dal citato comma 85 – è delegato alla riforma dell’ordinamento penitenziario. In tale ambito, tra i criteri direttivi è contemplata l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale.
In questa prospettiva il provvedimento introduce norme volte all’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, attraverso l’inserimento nel Codice penale delle fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, quali la vita e la protezione della comunità civile.
In tal modo, si consente di dare avvio a un processo virtuoso che freni la proliferazione della legislazione penale, rimetta al centro del sistema il codice penale e ponga le basi di un più ragionevole rapporto fra il rilievo del bene tutelato e la corrispettiva sanzione penale.
Sul piano generale, va peraltro evidenziato che il decreto non interviene, operando una trasposizione dalla legge speciale al codice penale della relativa fattispecie incriminatrice, nei casi in cui sussista una forte interrelazione dei singoli precetti penali con la disciplina di base che già li contiene, come ad esempio nel caso delle disposizioni penali in materia di sicurezza nella circolazione stradale, ancorché le stesse siano comunque preposte alla tutela della vita e dell’incolumità personale.
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3. Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione (esame preliminare)
Il decreto è finalizzato all’attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, commi 82, 83 e 84 lettere f), g), h), i), l), e m) della legge 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” per la riforma della disciplina processuale penale in materia di giudizi di impugnazione
L’intervento normativo s’inserisce nel più ampio programma sotteso alla riforma, volto alla semplificazione e velocizzazione dei processi, in modo da garantire l’attuazione del principio della ragionevole durata del processo. Esso mira dunque alla deflazione del carico giudiziario, mediante la semplificazione dei procedimenti di appello e di cassazione. In tale ottica, i principi di delega orientano alla modifica del procedimento davanti al giudice di pace, all’individuazione degli uffici del pubblico ministero legittimati a proporre appello, alla riduzione dei casi di appello e alla limitazione dell’appello incidentale al solo imputato.
In particolare, il decreto interviene quindi sul sistema delle impugnazioni, limitando i poteri di appello sia del pubblico ministero che dell’imputato, con l’intento di circoscrivere il potere d’impugnazione nei limiti in cui le pretese delle parti, legate all’esercizio dell’azione penale per il pubblico ministero e al diritto di difesa per l’imputato, risultino soddisfatte.
In particolare, si riduce la legittimazione all’impugnazione di merito: al pubblico ministero è precluso l’appello delle sentenze di condanna, ossia delle sentenze che hanno riconosciuto la fondatezza della pretesa punitiva, salvo alcuni specifici casi (ad esempio, sentenza di condanna che modifica il titolo del reato o che esclude l’esistenza di aggravanti ad effetto speciale); all’imputato, specularmente, è precluso l’appello delle sentenze di proscioglimento pronunciate con le più ampie formule liberatorie, ossia perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.
Vengono poi novellate le disposizioni del codice di procedura penale anche in materia di appello incidentale ed è data attuazione alla riforma della disciplina delle impugnazioni con riferimento ai procedimenti aventi ad oggetto reati di competenza del giudice di pace.
Fonte: Diritto24
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