Qui la sentenza: Corte di Cassazione – sez. lavoro civile – sentenza n. 10319 del 26-4-2017
Con la pronuncia in commento la Cassazione, nell’esaminare un caso di infortunio lavorativo (da cui la correlata istanza risarcitoria), delinea gli oneri probatori gravanti sul datore di lavoro e sul lavoratore infortunato, facendone discendere una diversa modulazione degli stessi a seconda della natura delle misure di sicurezza omesse (da una parte quelle di matrice legislativa, o di fonte equivalente, e dall’altra quelle desumibili dall’art. 2087 c.c.).
Il caso
Un lavoratore si vedeva respingere – sia in primo che in secondo grado – la domanda di risarcimento danni, conseguente ad infortunio sul lavoro, avanzata nei confronti del proprio datore per asserita violazione degli obblighi di sicurezza ex art. 2087 c.c.
La corte d’appello pur escludendo la configurabilità di un rischio elettivo, non avendo ravvisato i caratteri dell’abnormità nel comportamento del dipendente, negava qualsivoglia responsabilità datoriale in ordine all’accaduto, stante l’omessa indicazione specifica (da parte del lavoratore) delle cautele doverosamente adottabili per evitare l’infortunio.
La decisione della Corte
Secondo i Giudici di Piazza Cavour il lavoratore che agisce nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio lavorativo ha l’onere di provare l’inadempimento ed il nesso di causalità tra quest’ultimo ed il danno.
Quanto alla colpa del datore la stessa si presume ex art. 1218 c.c. ed il suo superamento comporta la prova dell’adozione di tutte le cautele necessarie ad evitare il danno rapportate alla specificità del caso ed ai rischi intrinseci connessi al tipo di attività lavorativa, potendo risultare, a tal fine, insufficiente la mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge (ex multis Cass. n. 8855/2013).
A seconda della tipologia delle misure di sicurezza omesse muta, altresì, la prova liberatoria in discorso.
Infatti ove si tratti di misure cc.dd. “nominate”, ovvero espressamente e specificamente definite dalla legge (o da fonte egualmente vincolante) in relazione ad una valutazione preventiva dei rischi specifici, la suddetta prova si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore (id est : insussistenza dell’inadempimento e del relativo nesso eziologico con il danno).
Discorso diverso per le misure “innominate” – ricavabili dallo stesso art. 2087 c.c. ed al suo generico obbligo di sicurezza – laddove il datore, ai fini dell’esimente in parola, dovrà provare l’adozione di comportamenti specifici che sebbene non dettati dalla legge (o da fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o traggano origine da altre fonti analoghe (in tal senso Cass. n. 15082/14).
In particolare gravano sul datore puntuali obblighi di informazione nei confronti del lavoratore, tesi ad evitare il rischio specifico della lavorazione, insuscettibili di essere assolti mediante indicazioni generiche (ex plurimisCass. n. 20051/16).
La responsabilità datoriale sussiste, peraltro, anche quando l’infortunio sia ascrivibile, oltre che a disattenzione del lavoratore, ad imperizia, negligenza e imprudenza (così Cass. n. 19494/09).
Per converso, l’esonero da responsabilità viene a configurarsi solo quando il comportamento dell’infortunato abbia assunto i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, così integrando il c.d. “rischio elettivo”, ovvero una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa, come tale idonea ad interrompere il nesso causale tra quest’ultima ed attività assicurata (in senso conforme Cass. n. 18786/14).
In applicazione dei suddetti principi, la Corte, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata con riferimento alla parte in cui, pur riconoscendo la insussistenza del rischio elettivo, ha invertito l’onere probatorio attribuendo al lavoratore la mancata specificazione delle misure di sicurezza adottabili; onere, quest’ultimo, incombente sul datore.
Fonte: Diritto.it
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