La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22203 del 22 settembre 2017, si è occupata di un interessante caso in materia condominiale.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, dei condomini avevano agito in giudizio nei confronti di altri condomini e del condominio, al fine di ottenere l’ordine di rimozione di “una pericolosa canna fumaria in eternit ancorata al muro dell’edificio”.
La domanda era stata accolta sia in primo che in secondo grado, con la conseguenza che il condominio era stato condannato alla rimozione della canna fumaria in questione.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, era il condominio a dover curare la rimozione del manufatto, in qualità di “custode” del bene stesso, “e come tale obbligato ad evitare che la cosa possa arrecare danni a terzi”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il condominio aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il condominio, in particolare, la Corte d’appello, nel confermare la condanna alla rimozione della canna fumaria, non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 1117 c.c., ritenendo erroneamente che la canna fumaria rappresentasse un “bene comune”.
La Corte d’appello, in particolare, era giunta alla conclusione che la canna fumaria fosse un bene comune, sulla base dell’art. 936 c.c., che disciplina l’istituto della “accessione”, in base al quale “quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle”.
Ebbene, sul punto, la Cassazione riteneva di dover accogliere il ricorso proposto dal condominio, evidenziando come, nel caso in esame, la Corte d’appello avesse errato nel ritenere applicabili le norme sulla “accessione”.
Osservava la Cassazione, infatti, che la giurisprudenza “è orientata a ritenere che la costruzione di un’opera da parte di un comproprietario su beni comuni non è disciplinata dalle norme sull’accessione, bensì da quelle sulla comunione, secondo le quali costituisce innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l’effetto di alterarne la consistenza materiale o la destinazione originaria; ne consegue che, in mancanza del consenso degli altri partecipanti, l’opera è illegittima”.
Pertanto, secondo la Cassazione, la non appariva corretta la decisione della Corte d’appello, la quale aveva “applicato in materia condominiale le norme sull’accessione per ritenere che la canna fumaria fosse un bene di proprietà condominiale, traendone poi l’obbligo di rimozione a carico del condominio quale custode del manufatto, e quindi tenuto alla tutela dell’altrui incolumità”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal condominio, annullando la sentenza impugnata e rigettando la domanda di rimozione proposta nei confronti del condominio, “non trovando applicazione la regola dell’accessione in tale campo, quanto piuttosto la disciplina sulle innovazioni realizzate dai singoli sui beni comuni (art. 1120 c.c. in tema di condominio)”.
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