Tribunale, Milano, sez. II penale, ordinanza 06/04/2017
Con l’ordinanza in commento, la Seconda Sezione Penale del Tribunale di Milano affronta la delicata tematica concernente la facoltà per l’ente imputato ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, di costituirsi parte civile per i fatti commessi dai suoi apicali e contestatigli a titolo di responsabilità amministrativa.
Orbene, nel caso sottoposto all’esame del Tribunale milanese, la Banca Monte Paschi è stata chiamata a rispondere ai sensi del su citato D.lgs. n. 231/2001 in relazione ai reati di cui agli artt. 2622 e 2638 c.c. e 185 TUF, per le condotte ascrivibili a tre dirigenti dell’istituto di credito toscano (rispettivamente l’ex Presidente, l’ex direttore e l’ex responsabile dell’area finanza).
Nell’analizzare l’ordinanza in commento, il Tribunale ritiene che le posizioni di ente responsabile ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 e di parte civile costituita nei confronti dei soggetti che hanno rivestito ruoli apicali e commesso i delitti “presupposto” anche nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, sono del tutto incompatibili.
A supporto della propria soluzione, il Collegio evidenzia la tesi prevalente in giurisprudenza, secondo cui nell’ambito della criminalità d’impresa sussiste una responsabilità cumulativa dell’individuo e dell’ente collettivo non inquadrabile nello schema concorsuale, ma ad essa equiparabile.
Invero, la Suprema Corte ha da tempo chiarito come il sistema tratteggiato dal legislatore del 2001 presupponga la responsabilità penale individuale, che non rimane assorbita dalla persecuzione diretta della corporate criminality. Ne deriva che l’appartenenza del soggetto all’ente si mostra imprescindibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, in quanto è proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente, a determinare l’estensione a questo della responsabilità per il reato commesso. Sicché, concludono gli ermellini, appurata la convergenza di responsabilità della persona fisica e di quella giuridica e avuto riguardo all’unicità del reato come “fatto” riferibile ad entrambe, deve trovare applicazione il principio solidaristico che informa lo schema concorsuale.
In continuità con quanto appena menzionato, il Tribunale rammenta anche la posizione della giurisprudenza di merito formatasi sul punto, la quale facendo leva sulla tesi della responsabilità cumulativa, sostiene che ai fini della collocazione sistematica del titolo di responsabilità per cui è chiamato l’ente nel procedimento, occorre valutare se il delitto in oggetto sia identico ovvero differente rispetto a quello contestato al dipendente posto in posizione apicale, nei cui confronti il suddetto intende costituirsi parte civile.
Ora, nel primo caso, appare intuitivo che sia per la persona fisica che per quella giuridica si profilerebbe la medesima forma di responsabilità riferita ad uno stesso fatto tipico (anche se formalmente autonomo ai sensi dell’art. 8, D.lgs. n. 231/2001), posto che le condotte comuni, anche se autonome e pressoché concorsuali e convergenti, sarebbero state poste in essere nell’interesse sia della persona fisica che di quella giuridica o ente che se ne è avvantaggiato.
Di conseguenza, qualora dovesse ritenersi provata in capo all’ente l’esistenza di una legittimazione attiva alla costituzione di parte civile, quest’ultimo finirebbe con il dolersi a pretendere il risarcimento da quegli stessi soggetti legittimati ad agire in nome e per suo conto, i quali, peraltro, come già evidenziato, hanno posto in essere la condotta imputata anche a vantaggio e nell’interesse dell’ente medesimo.
Senonché, appare di tutta evidenza che una tale ricostruzione si mostra fortemente contrastante con i principi generali dell’ordinamento penalistico, secondo cui il responsabile per un medesimo fatto non può dolersi della esecuzione del fatto stesso eventualmente anche a cura del concorrente. Né sembra del tutto convincente la tesi contraria, delineata nell’art. 8, D.lgs. n. 231/2001, riguardante l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto alla persona fisica. Essa, difatti, si riferisce al titolo di responsabilità in capo all’ente rispetto a quello della persona fisica che ha agito in nome e per conto dello stesso, al pari di quella che nell’ambito della responsabilità della persona fisica, si profila in riguardo all’autonomia della responsabilità di ciascun correo.
Ne deriva che, conclude il Tribunale milanese, la sola assunzione delle veste di imputato ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, preclude sempre e comunque all’ente la possibilità di costituirsi parte civile nei confronti dei soggetti che hanno rivestito ruoli apicali e commesso i reati “presupposto” anche nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.
Fonte: Altalex
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