Cassazione penale, sez. IV, sentenza 09/03/2017 n° 11423
Il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa.
Nel solco della precedente giurisprudenza, con la sentenza in epigrafe i Giudici di Piazza Cavour confermano l’orientamento secondo il quale ai fini della configurabilità del c.d. furto lieve per bisogno, di cui all’art 626, n. 2, c.p., è necessario, non solo, che la cosa sottratta abbia tenue valore, ma che sussista l’esigenza di soddisfare un bisogno primario al quale il soggetto agente non possa altrimenti provvedere se non attraverso la sottrazione della res.
Al contrario, come precisato dalla Corte, non rileva che il versare in un generico stato di bisogno o di miseria, dovendo la gravità e l’urgenza del bisogno derivare da una seria esigenza non più procrastinabile.
L’occasione è gradita per soffermarsi sulla fattispecie di cui all’art. 626, n. 2, c.p., la quale connota il cd. furto lieve per bisogno di elementi che lo contraddistinguono dal furto comune di cui all’art. 624 c.p. Più in particolare, se dal punto di vista dell’elemento oggettivo occorre che la cosa sottratta sia di tenue valore, quanto all’elemento soggettivo è necessario che l’agente miri a soddisfare un bisogno “grave ed urgente”.
Posto che quest’ultimo può riguardare tanto la persona dell’agente quanto altre persone – il dato testuale dell’art. 626, n. 2, c.p. non utilizza l’aggettivo “proprio” ma parla genericamente di bisogno – è sulla definizione di “bisogno” nonché sugli attributi normativamente richiesti che si è focalizzata l’attenzione della giurisprudenza. Sul punto, pacifica la qualificazione di bisogno come di un’esigenza che, se non soddisfatta, può determinare un danno o un pericolo per la persona o per le cose possedute, si ritiene che per “gravità” ed “urgenza” siano da intendersi, rispettivamente, il notevole pericolo che deriverebbe dalla mancata soddisfazione del bisogno e l’impossibilità di differirne il soddisfacimento senza che ciò provochi un danno.
L’analisi dei caratteri peculiari della fattispecie in esame conduce, inoltre, a delimitarne l’ambito di operatività rispetto alla differente ipotesi normativa dello stato di necessità, di cui all’art. 54 c.p. Al riguardo, sarà sufficiente osservare che, mentre la configurabilità della causa di giustificazione in parola postula che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente, il furto per grave e urgente bisogno prescinde da tale condizione. Non solo. La norma di cui all’art. 54 c.p., prescrive, con riferimento all’azione lesiva, che essa sia necessaria e che il pericolo non sia altrimenti evitabile. Nella cornice testuale dell’art. 626, n. 2, invece, il riferimento alla assoluta necessarietà della condotta illecità è del tutto assente.
Sulla base delle suddette coordinate codicistiche ed ermenutiche, la Cassazione, nel caso di specie, ha confermato la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del ricorrente nei precedenti gradi di giudizio, sul rilievo che la sottrazione di un genere alimentare – due confezioni di bresaola – all’interno di un supermercato non fosse riconducibile ad una situazione di grave ed indifferibile bisogno dell’imputato, tale da giustificare la degradazione dell’imputazione da furto comune a furto lieve. Ciò essendosi il ricorrente limitato ad indicare nella sua doglianza elementi presuntivi di per sé insufficienti a connotare i requisiti della fattispecie invocata, quella del furto lieve per bisogno, quali la natura del bene appreso nonchè il suo versare in difficoltà economica, da desumersi dall’ammissione al gratuito patrocinio.
Fonte: Altalex
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