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Cassazione Civile, sez. II, sentenza 11/04/2017 n° 9309

Nel giudizio per l’annullamento del testamento olografo per incapacità del testatore e dolo della persona che ha guidato la mano del de cuiussulla scheda testamentaria, non è sufficiente provare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, con adulazioni, suggerimenti o sollecitazioni, ma è necessario che sia siano stati usati veri e propri mezzi fraudolenti i quali – in relazione all’età, e allo stato di salute della persona – possano trarlo in inganno, orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

E’ quanto deciso dalla Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con la sentenza 11 aprile 2017 n. 9309, con la quale si è pronunciata sull’annullabilità di una disposizione contenuta in un testamento olografo, per incapacità del testatore e dolo della persona che l’ha indotto e aiutato a firmare il manoscritto.

Il caso

Il testatore era nato nel 1906 e all’età di 90 anni aveva dato segni di compromissione delle proprie facoltà mentali. In seguito era stato ricoverato per una malattia di tipo fisico ma aveva mostrato segni di confusione mentale e irascibilità (tanto da essere immobilizzato fisicamente).

In queste particolari condizioni si era riavvicinato a lui un cugino non frequentato da lungo tempo, che nelle ultime settimane prima della morte, secondo la ricostruzione del parente che aveva agito per l’annullamento del testamento, lo avrebbe indotto a testare in suo favore.

Inoltre, poiché l’anziano sarebbe stato quasi cieco, il cugino avrebbe materialmente aiutato il de cuius a porre la mano sul foglio e guidarla per la sottoscrizione, come emergeva dalla documentazione dedotta in giudizio.

Sia il Tribunale di Verona, che la Corte di Appello di Venezia avevano respinto la domanda di annullamento della scheda testamentaria.

Il parente ricorreva in Cassazione per censurare l’errato apprezzamento delle prove da parte dei giudici di merito e denunciare i vizi inerenti alla motivazione su un punto controverso e decisivo della sentenza.

Secondo la Corte d’appello non era possibile desumere dalle anomalie di scrittura, che alla redazione del testamento fosse presente l’appellato (il cugino), intervenuto a influenzare la volontà del testatore.

Le predette anomalie di scrittura potevano essere facilmente ricondotte alle condizioni fisiche di senilità avanzata e ai problemi di vista. Da qui, la necessità di porre la mano dell’anziano sul foglio per la scrittura.

Secondo il ricorrente, inoltre, avrebbe dovuto essere apprezzata la circostanza che la scheda testamentaria fosse nel possesso del cugino, il quale ne aveva poi chiesto la pubblicazione al notaio.

La sentenza della Cassazione

I giudici della Suprema Corte hanno respinto le doglianze del ricorrente e confermato la decisione della Corte territoriale.

Preliminarmente, la Corte ha precisato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non determina un vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, di cui all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5.

In tal senso occorre che la motivazione della quaestio facti sia caratterizzata non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presenti tale da determinarne la logica insostenibilità (Cass. Civ. Sez. III n. 17037 del 20.8.2015).

Il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, e quale risulta dalla sentenza impugnata, emerga la totale esclusione di elementi che potrebbero portare a una diversa decisione, ovvero se manca o difetta il procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento.

Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, che risulti incompleto, incoerente o illogico, e non quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diverso rispetto alle aspettative e alle deduzioni di parte.

Dal vaglio della documentazione prodotta i giudici di merito sono giunti alla conclusione opposta rispetto a quella prospettata dal ricorrente che aveva chiesto l’annullamento per incapacità e dolo, ritenendo mancanti i due suddetti elementi.

In merito all’allegazione che il testatore fosse stato aiutato a mettere la mano sul foglio contenente le sue volontà, la Corte Suprema ritiene esente da censure il ragionamento della Corte territoriale che ha diversamente ricostruito il fatto della difformità della scrittura, ritenendo che da ciò non potesse essere provata la presenza del convenuto che ha aiutato il testatore a firmare.

Sulla questione, la stessa Cassazione in passato aveva affermato che, se il de cuius, per redigere il testamento olografo, abbia fatto ricorso all’aiuto materiale di un’altra persona che ne abbia sostenuto e guidato la mano nel compimento di tale operazione, tale circostanza è sufficiente ad escludere il requisito dell’autografia, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda testamentaria alla reale volontà del testatore (Cass. Civ n. 12458/2004).

La sentenza in esame si concentra invece sulla caratteristica dell’elemento del dolo ai fini della declaratoria di nullità.

Secondo la Corte, il rispetto assoluto della volontà del testatore impone, al fine di potersi affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, di non considerare sufficiente una qualsiasi influenza di tipo psicologico esercitata sul testatore, con adulazioni, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma è necessario che sia siano stati usati veri e propri mezzi fraudolenti i quali – in relazione all’età, e allo stato di salute della persona – possano trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni e orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

La prova può essere presuntiva, ma deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’“attività captatoria” e l’influenza determinante nella formazione della volontà del testatore (Cass. Civ. n. 14011/2008 e Cass. Civ. n. 824/2014). NomoLex Roma

Fonte: Altalex

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