Il testimone di Geova che esce dall’organizzazione religiosa non può chiedere i danni alla Congregazione per l’ostracismo che gli viene dimostrato in seguito. La Cassazione precisa infatti che nello statuto dei testimoni è previsto che all’annuncio pubblico delle “dimissioni” da parte dell’adepto, a questo viene tolto anche il saluto. L’uomo, seguace di Geova, dall’età di 15 anni aveva “amici” solo in quell’ambiente e lamentava una sorta di violazione del suo diritto a mantenere una relazione, i giudici precisano però, che non esiste un diritto in tal senso, pur essendo l’atteggiamento dei testimoni di Geova “socialmente riprovevole”. Questa in estrema sintesi la decisione presa con la sentenza numero 9561 depositata ieri dalla Corte di cassazione.
La sentenza La Cassazione ha rilevato che in base al principio della “non ingerenza” i giudici non si possono occupare di quelle che sono “libere scelte” di soggetti che professano un determinato credo religioso e la magistratura può intervenire solo se queste scelte violano i diritti fondamentali di altre persone. Questo vale anche per i testimoni di Geova sebbene l’intesa con lo Stato italiano non sia ancora stata sottoscritta, afferma la Suprema Corte.
In particolare, gli “ermellini” rilevano che correttamente i giudici di merito avevano escluso “qualsiasi profilo discriminatorio” nella decisione degli appartenenti alla Congregazione di Bari, all’interno della quale è avvenuta questa vicenda, di evitare ogni frequentazione dell’ex testimone dal momento che si trattava solo della “violazione di norme di condotta civile e di buona educazione” che non avevano ripercussioni dal punto di vista penale o civilistico.
Così i supremi giudici hanno respinto il ricorso di L. F. che per anni aveva frequentato assiduamente la Congregazione dei testimoni di Geova di Bari a partire da quando aveva 15 anni ed aveva ricevuto il battesimo, per poi decidere di “dimettersi”, pur precisando di conservare immutata la sua fede.
Da quel momento tutti lo avevano ignorato ed evitato e L. F. riteneva di essere stato sottoposto “a una sorta di ostracismo”. Condividendo quanto già stabilito dal Tribunale di Bari nel 2016, la Cassazione ritiene che l’ostracismo che ha colpito l’ex testimone per quanto “riprovevole” sul piano sociale non è “sindacabile sotto il profilo della liceità, in quanto frutto di libere scelte, sebbene condizionate da una convinzione di tipo religioso”.
L’intervento della magistratura, spiega il verdetto, scatta solo per la tutela dei diritti fondamentali della persona «di certo non intaccati dalla libera scelta di alcuni soggetti, o anche di una categoria di soggetti, di non avere o interrompere dei rapporti sul piano personale, privi di tutela sul piano giuridico».
Fonte: Diritto24
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