Tribunale, Torino, sez. VIII civile, sentenza 17/10/2016 n° 3577
È invalida la procura ad avvocato stabilito senza una specifica intesa con un avvocato affiancante. L’avvocato stabilito, infatti, può svolgere attività giudiziale in Italia solo se affiancato da un avvocato iscritto in Italia e tale affiancamento risulti da specifica intesa riferita alla singola controversia. L’intesa fra avvocato affiancante e avvocato stabilito non può essere generica, dovendosi riferire alla singola controversia oggetto di affiancamento. In mancanza, il giudice può assegnare un termine ex art. 182 c.p.c. per sanare l’irregolarità.
Nella pronuncia in esame il Tribunale di Torino si sofferma sul problema dello ius postulandi degli avvocati stabiliti, affermando la necessità che questi ultimi, per poter svolgere attività giudiziale in Italia, debbano essere affiancati da un avvocato iscritto in Italia mediante intesa riferita specificamente alla singola controversia.
Il fatto
Nella caso deciso dall’ordinanza del Tribunale di Torino la parte opposta ha sollevato eccezione di nullità della procura alle liti rilasciata dalla parte opponente a favore di un avvocato stabilito, per mancanza della necessaria intesa di affiancamento con un avvocato iscritto in Italia.
La domanda
Dal tenore dell’ordinanza non è possibile conoscere l’oggetto della controversia (salvo il fatto che si tratti di causa in materia civile), anche se, ai fini della questione processuale decisa, è sostanzialmente irrilevante conoscere il merito della lite. La questione sottoposta al Tribunale di Torino riguarda la validità della procura alle liti rilasciata a favore di un avvocato stabilito in assenza di una intesa con l’avvocato italiano affiancante specificamente riferita alla lite in oggetto. Nello specifico l’avvocato stabilito si è costituito in giudizio sulla base di una specifica procura alle liti, in assenza, però, di uno specifico accordo di affiancamento per tale lite con un avvocato italiano. Sempre da quanto risulta dal testo dell’ordinanza, è stata prodotta dall’avvocato stabilito una dichiarazione resa dall’avvocato italiano e prodotta al Consiglio dell’Ordine italiano per l’iscrizione nella sezione speciale, dichiarazione, tuttavia, priva di specifici riferimenti alla specifica controversia promossa avanti al Tribunale di Torino.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale di Torino, richiamandosi sia a un precedente giurisprudenziale del Tribunale di Verona sia ai numerosi pareri espressi in argomento dal CNF, rileva la nullità della procura conferita all’avvocato stabilito. In particolare, il Tribunale ritiene che, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 96/2001, l’avvocato stabilito sia privo di un generale ed autonomo ius postulandi nel territorio italiano in mancanza di una intesa di affiancamento con un avvocato italiano riferita alla specifica lite.
La decisione del Tribunale di Torino appare pienamente condivisibile e offre interessanti spunti di riflessione. In effetti, anche a prescindere dai pareri del CNF e dall’ancora isolate pronunce giurisprudenziali in materia, il dato testuale della norma non sembra lasciare spazio per diverse interpretazioni. In particolare, il secondo comma del citato art. 8 impone la riferibilità alla singola controversia dell’intesa di affiancamento, lasciando discrezionalità esclusivamente sulla forma utilizzabile (potendo risultare o da scrittura privata autenticata o da dichiarazione di entrambi i difensori diretta al giudice adito).
Correttamente, quindi, il Tribunale di Torino ha escluso che la predetta norma potesse ritenersi soddisfatta sulla base della dichiarazione resa dall’avvocato affiancante all’ordine all’atto dell’iscrizione dell’avvocato stabilito in Italia (dichiarazione che, come ritenuto dal CNF, non è neppure essenziale per l’iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti).
Nella sostanza, il Tribunale di Torino ha fondato la propria decisione basandosi sulla (implicita) qualificazione della dichiarazione di affiancamento come procura alle liti. Tale posizione è certamente ragionevole (soprattutto per la conseguente possibilità di sanatoria ex art. 182 c.p.c., maggiormente tutelante per la parte), anche se meriterebbe qualche riflessione più approfondita. In effetti, la qualificazione giuridica dell’intesa di affiancamento di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 96/2001 appare piuttosto ambigua. Proprio il fatto che l’intesa sia fra l’avvocato stabilito e l’avvocato affiancante, si può ritenere che la stessa non debba coinvolgere direttamente la parte assistita (la quale, quindi, potrebbe conferire il mandato difensivo al solo avvocato stabilito). La stessa possibilità che l’intesa risulti da semplice dichiarazione resa da entrambi i difensori sembra rafforzare la convinzione della sostanziale irrilevanza della sottoscrizione della parte.
L’ambiguità del citato art. 8 solleva ulteriori perplessità: non è chiaro, in particolare, in cosa si concretizzi il dovere di assicurare i rapporti con l’autorità giudiziaria adita da parte dell’avvocato affiancante. Più specificamente, è dubbio se l’avvocato affiancante possa essere considerato a tutti gli effetti come “in delega” al fianco dell’avvocato stabilito (e quindi legittimato ad esercitare l’attività processuale relativa alla controversia) oppure se, invece, svolga esclusivamente attività di controllo e supervisione (potendo compiere attività processuale al posto dell’avvocato stabilito solo sulla base di specifica delega di quest’ultimo).
Si tratta di dubbi ermeneutici dalle significative ripercussioni processuali e deontologiche.
Considerando l’avvocato affiancante come codifensore della parte, quest’ultimo sarebbe responsabile, al pari dell’avvocato stabilito, di ogni eventuale inadempienza. In caso contrario, invece, l’intesa di affiancamento difficilmente potrebbe essere qualificata come procura alle liti e l’eventuale difetto, determinando la mancanza dello ius postulandi, non potrebbe essere sanato mediante il ricorso all’art. 182 c.p.c. con conseguente nullità insanabile degli atti compiuti dall’avvocato stabilito. Come detto, però, la questione merita indubbiamente riflessioni più approfondite, ma è quasi certo che presto si presenteranno molte altre occasioni di discussione.
La decisione in sintesi
L’avvocato stabilito può esercitare la professione forense in Italia e, nello specifico, patrocinare avanti alle autorità giudiziarie italiane solo se affiancato da un avvocato iscritto in Italia e a condizione che l’intesa di affiancamento si riferisca specificamente alla controversia in cui è nominato il medesimo avvocato stabilito
Esito della domanda:
Il Tribunale rileva l’irregolarità della procura per mancanza di intesa di affiancamento e assegna un termine ex art. 182 c.p.c. per la regolarizzazione della stessa.
Fonte: Altalex
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