Corte di Cassazione – Sezione Quinta Penale, Sentenza 17 febbraio 2017, n. 763
La Corte di Cassazione ha stabilito che il praticante dell’avvocato che si presenta al cliente come il professionista incaricato di trattare il caso, riscuote acconti, firma quietanze e intrattiene contratti con la controparte è penalmente perseguibile a norma dell’articolo 348 del Codice Penale per esercizio abusivo di una professione.
Il caso in oggetto
Il praticante di uno studio legale, non ancora abilitato all’esercizio della professione forense, veniva tratto a giudizio con l’accusa di esercizio abusivo di una professione, per essersi mostrato, in una controversia in materia di risarcimento danni, come avvocato incaricato della trattazione della pratica con la compagnia assicuratrice.
Avverso la sentenza della Corte territoriale, che aveva confermato la sentenza di condanna in primo grado, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra gli altri, il fatto che lo stesso non avesse mai compiuto atti tipici della professione forense, ma si fosse limitato a seguire la vicenda che opponeva la famiglia dell’assicurato alla compagnia assicuratrice per conto del proprio dominus, titolare dello studio legale. Per il ricorrente, l’aver fatto sottoscrivere ai clienti quietanze ed attestazioni di pagamento e l’aver ricevuto acconti in denaro non rappresenterebbe un’attività tipica della professione legale.
La decisione della Corte di Cassazione
Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui: “integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, 23 marzo 2012, n. 11454), i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta ed incensurabile la pronuncia della Corte territoriale.
In conclusione, le attività poste in essere dall’imputato, ossia tenere contatti con la compagnia assicuratrice, far firmare quietanze all’esito di trattative stragiudiziali e ricevere acconti in denaro, sebbene non esclusive della professione di avvocato, ma al contempo tipiche di tale professione, erano tali da ingenerare nei confronti dei propri clienti e della controparte, in assenza di contrarie indicazioni, la convinzione che lo stesso fosse abilitato all’esercizio della professione forense.
Il comportamento tenuto dall’imputato integrerebbe la condotta tipica del reato di specie, ragion per cui la Suprema Corte ha rigettato il presente motivo di gravame.
Fonte: Filodiritto
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