È tesi del Supremo Collegio quella secondo cui il concetto di custodia, presupposto dall’art. 2051 c.c. sta a significare un effettivo potere fisico del soggetto nei confronti della cosa, cioè un rapporto concreto che implichi il governo e l’uso della cosa custodita, con il conseguente obbligo di vigilare che da questa – per sua natura o particolari condizioni – non derivi danno ad altri.
Ne consegue che fa carico all’appaltatore di curare la custodia dei materiali che si trovino nella sua disponibilità concentrati vicino al luogo dell’esecuzione dell’opera, in attesa della loro utilizzazione. In particolare la Suprema Corte, enunciando il principio di cui sopra, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito i quali avevano affermato la responsabilità di un appaltatore per le lesioni personali subite da un ragazzo a seguito del rotolamento di tubi per condutture, accatastati su terreno privo di recinzione e non idoneamente legati (Cass. 20 gennaio 1981, n. 481).
Conforme: Cass., 1 giugno 2006, n. 13131
«L’autonomia dell’appaltatore, il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione e apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, egli deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera (nella specie, i danni derivanti dall’occupazione con materiali di risulta di un terreno non di proprietà del committente). Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ., ovvero in caso di riferibilità dell’evento al committente stesso per «culpa in eligendo» per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea ovvero quando l’appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale «nudus minister» attuandone specifiche direttive. La possibilità che il committente risponda sulla base dell’articolo 2043 cod. civ. per la violazione di regole di cautela non determina, peraltro, un obbligo generale di supervisione a suo carico sull’attività dell’appaltatore che il terzo danneggiato possa comunque far valere nei suoi confronti, poiché la funzione di controllo è assimilabile a un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni fra committente e appaltatore, in correlazione alla riduzione o eliminazione della sfera di autonomia decisionale dell’appaltatore, e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi. Un dovere di controllo di origine non contrattuale gravante sul committente al fine di evitare che dall’opera derivino lesioni del principio del «neminem laedere» può essere, difatti, configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela».
In tema poi di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e quindi insiste il cantiere, risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (in concreto non escludibile a carico dell’ente per le dimensioni necessariamente ridotte dell’area adibita a cantiere) sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale di cui al secondo comma dell’art. 2055 cod. civ., sulla base anche degli obblighi di segnalazione e manutenzione imposti dalla legge per opere e depositi stradali (art. 21 del d.lgs. n. 285 del 1992), nonché di quelli eventualmente discendenti dalla convenzione di appalto (Cass., 6 luglio 2006, n. 15383).
Fonte: La Legge per tutti
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