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14 Gennaio 2017La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13883 del 6 luglio 2015, si è occupata di un interessante caso in tema di nullità del matrimonio canonico.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Lecce aveva dichiarato efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico con la quale era stata dichiarata la nullità di un matrimonio contratto tra due soggetti, “per grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e doveri matrimoniali essenziali” dovuto a cause di natura psichica in capo al marito.
La moglie, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso in Cassazione, “deducendo di aver legittimamente confidato nella validità del matrimonio non essendo a conoscenza del deficit psichico grave dell’attore ma soltanto di quello motorio”.
Di conseguenza, secondo la ricorrente, la Corte d’appello, nel riconoscere l’efficacia della sentenza ecclesiastica e nel dichiarare la nullità del matrimonio, avrebbe violato l’art. 8 della legge n. 121 del 1985, l’art. 64 della legge n. 218 del 1995, art. 120 del c.c. e art. 122 del c.c., nonché l’art. 29 Cost., in quanto avrebbe erroneamente escluso “il contrasto rispetto all’ordine pubblico nonostante la mancata conoscenza del deficit psichico e l’intervenuta convivenza coniugale per oltre un anno”.
In particolare, secondo la ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe applicato “il principio di salvaguardia della validità del vincolo coniugale fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità”, senza tenere in alcun conto “l’affidamento incolpevole della ricorrente, a conoscenza esclusivamente dell’handicap motorio”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
La Corte di Cassazione ricordava come la convivenza coniugale rappresenta una causa che impedisce il riconoscimento della sentenza ecclesiastica di nullità solo laddove superi i tre anni, così come stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 16379 del 2014.
Evidenziava la Corte, inoltre, come “la causa di nullità matrimoniale accertata in sede canonica è costituita dall’incapacità psichica di fornire un consenso effettivo al matrimonio, non essendo risultato in grado il resistente di comprenderne ab origine il complesso di diritti e doveri”.
Di conseguenza, non poteva trovare applicazione, nel caso di specie, “il limite di ordine pubblico relativo all’affidamento incolpevole dell’altro coniuge”, in quanto “in tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso (…) è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell’affidamento della controparte, poiché, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell’incapacità naturale dà rilievo alla buona o malafede dell’altra parte, tale aspetto è ignorato nella disciplina dell’incapacità naturale, quale causa d’invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, condannando la medesima al pagamento delle spese di giudizio.v