In sede di separazione personale dei coniugi, il giudice aveva stabilito un assegno mensile di mantenimento a carico del marito pari ad euro 300,00; la pronuncia veniva appellata dall’uomo e, in sede di gravame, l’assegno era stato rideterminato in euro 200,00. Avverso tale sentenza la moglie aveva proposto ricorso in cassazione.
In particolare, la ricorrente lamenta una violazione del principio di rispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.), giacché il giudice d’appello aveva diminuito l’assegno, mentre la richiesta del marito era nel senso della sua esclusione. Tale motivo viene ritenuto infondato dalla Suprema Corte, in quanto la domanda di esclusione dell’assegno assorbe e ricomprende anche quella di riduzione dello stesso.
Gli ermellini rigettano, altresì, il motivo di ricorso afferente alla valutazione sulla redditività dell’immobile in cui vive il coniuge beneficiario dell’assegno. La suddetta valutazione, infatti, attiene al merito ed è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora il giudizio effettuato dal giudice di merito sia corretto ed adeguato alle risultanze processuali. A ben vedere, la Corte d’Appello, correttamente, aveva tenuto conto del maggiore ammontare del reddito mensile marito – circa di tre volte superiore rispetto a quello della moglie – ritenendo tale squilibrio solo parzialmente temperato dall’esborso mensile per il canone di locazione da parte dell’uomo; inoltre, il giudice del gravame aveva valutato il fatto che la beneficiaria vivesse in un immobile di sua proprietà come una circostanza rilevante ai fini della quantificazione della somma.
A tal proposito, giova ricordare che, una volta individuato il coniuge economicamente più debole, titolare del diritto al contributo per il suo mantenimento, occorre stabilire quali siano i criteri rilevanti nella determinazione dell’assegno. L’art. 156 c. 2 c.c. menziona le circostanze ed i redditi del soggetto obbligato (nel caso di specie, il marito). In particolare, con il lessema “circostanze” si fa riferimento a tutti gli elementi di ordine economico diversi dal reddito stricto sensu inteso. Pertanto, tra le altre, vengono in rilievo il godimento della casa familiare e l’esistenza di proprietà immobiliari. Nella fattispecie in commento, la moglie era proprietaria dell’abitazione in cui viveva; quindi, tale circostanza – per usare il linguaggio del legislatore – deve essere considerata dal giudicante nella quantificazione dell’assegno. Infatti, l’ammontare di base del mantenimento è costituito dal reddito del soggetto obbligato (nel caso in oggetto quello del marito era il triplo di quello della moglie); nondimeno la presenza delle circostanze summenzionate determina una correzione della quantificazione. Il giudice, more solito, calcola l’assegno in percentuale sul reddito mensile medio valutando, altresì, l’incidenza su di esso di ogni fattore economicamente rilevante. In merito alla proprietà dell’immobile, occorre considerare la sua potenziale redditività, non già quella effettiva. Ad esempio, a nulla vale che l’abitazione non sia concessa in locazione e che non si percepisca alcun canone, giacché potenzialmente la si potrebbe locare e trarne un beneficio economico. Purtuttavia, nel caso in cui si dimostri che l’immobile di proprietà non produca alcun reddito, ma comporti solo esborsi, esso non avrà incidenza sulla quantificazione dell’assegno.
In conclusione, con l’ordinanza in commento la Suprema Corte ribadisce il proprio costante orientamento in materia di determinazione dell’assegno di mantenimento, valutando tutte le circostanze economicamente rilevanti – come la proprietà di un immobile da parte del coniuge beneficiario – e rigetta il ricorso non potendo fornire una diversa interpretazione delle risultanze processuali, trattandosi di una decisione di merito.