Dopo aver esaminato (Abuso dei contratti a termine: le ambiguità della Corte di Giustizia UE, 5 settembre 2016) l’orientamento mutevole ed ambivalente della Corte di Giustizia in materia di abuso dei contratti a termine, ulteriore spunto di riflessione viene fornito dalla recentissima sentenza del 14 settembre 2016 (causa C‑16/15).
Nel citato articolo è stato evidenziato come non sempre la Corte di Giustizia abbia adottato un orientamento garantista nei confronti dei lavoratori (come ad esempio nella nota sentenza Adeneler) arrivando invece anche ad affermare che “il solo fatto che un datore di lavoro sia obbligato a ricorrere a sostituzioni temporanee in modo ricorrente, se non addirittura permanente, e che si possa provvedere a tali sostituzioni anche attraverso l’assunzione di dipendenti in forza di contratti di lavoro a tempo determinato non comporta l’esistenza di un abuso” (sentenza del 26 gennaio 2012 – C-586/10).
Nel pronunciamento di cui si parlerà ora la Corte tenta una sorta di conciliazione tra le diverse posizioni espresse in precedenza arrivando, a dire il vero, non tanto ad innovare i criteri ermeneutici relativi ai concetti di “abuso”, “reiterazione”, “ragioni obiettive” ecc quanto piuttosto a introdurre una rilevante precisazione in merito ai margini di discrezionalità concessi agli Stati membri (questione che tange in particolar modo la disciplina italiana del rapporto di lavoro del pubblico impiego).
Al di là dei rilievi meramente “di rito” sollevati dalla Corte in merito al contenuto parzialmente inappropriato del rinvio pregiudiziale (il giudice spagnolo aveva in sostanza affidato alla Corte di Giustizia l’interpretazione della normativa interna statale arrivando perfino a deferirle il compito di pronunciarsi sulla disapplicazione dell’eventuale norma spagnola in conflitto con la disciplina comunitaria, questioni entrambe liquidate come non di competenza dell’organo giudicante adito), in sintesi i fatti esposti afferivano ad un caso di illegittima reiterazione di contratti a termine.
In particolare la sig.ra Pérez López aveva visto rinnovare il proprio contratto, in qualità di infermiera presso una struttura pubblica, per ben sette volte arrivando in tal modo a coprire un arco temporale dal febbraio 2009 al giugno 2013. Di conseguenza l’interessata proponeva ricorso al fine di vedersi riconosciuto il proprio diritto alla riqualificazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.
Dopo una breve disamina del contenuto dell’accordo quadro del 1999 la Corte di Giustizia, su sollecitazione del giudice del rinvio, si pronunciava in merito alla conformità della normativa spagnola alla clausola 5 dell’accordo medesimo. A tal proposito nulla ha avuto da obiettare la Corte dal momento che l’articolo 9 della Ley 55/2003 (statuto quadro del personale con inquadramento statutario dei servizi sanitari) rispondeva perfettamente a quanto richiesto a livello comunitario in merito all’obbligo di previsione di strumenti idonei a prevenire l’abuso dei contratti a termine. In particolare veniva sostenuto che “la normativa nazionale pertinente determina in modo preciso le condizioni nelle quali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi possono essere conclusi. Infatti, il ricorso a tali contratti è permesso, in forza dell’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro, secondo i casi, qualora si tratti di prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, quando ciò sia necessario per garantire il funzionamento permanente e continuato di centri sanitari o qualora si tratti di fornire servizi complementari per compensare la riduzione del normale orario di lavoro”. In sostanza viene fatta salva, almeno sotto questo aspetto, la normativo di diritto interno.
Proseguiva poi la Corte tentando, come già anticipato, una conciliazione delle sue posizione espresse fino ad oggi ribadendo da un lato che “per quanto riguarda l’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro, è necessario ricordare che tale clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti”, dall’altro, rifacendosi alla controversa sentenza del 2012 nella causa C-586/10, ammetteva un seppur parziale deroga a questo principio generale ammettendo, in determinati casi ed in determinati settori lavorativi, la possibilità di una costante reiterazione di contratti a termine. Con riferimento al caso di specie infatti veniva preso ad esempio proprio il settore sanitario in qualità di settore lavorativo particolarmente predisposto ad una “legittimo abuso” di contratti a termine. I giudici comunitari sostenevano in proposito che “in un’amministrazione, quale il settore della sanità pubblica, che dispone di un organico significativo, è inevitabile che si rendano necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale sostitutivo, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti ….. Inoltre, è necessario ricordare che l’obbligo di organizzare i servizi sanitari in modo tale da assicurare un costante adeguamento tra il numero dei membri del personale assistenziale e il numero di pazienti incombe all’amministrazione pubblica e dipende da una moltitudine di fattori suscettibili di riflettere una particolare esigenza di flessibilità che …. è idonea, in tale specifico settore, a giustificare obiettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”. Ovviamente veniva fatta salva la necessaria provvisorietà, e non ordinarietà, che deve caratterizzare la prestazione lavorativa richiesta.
E’ così che, con tali argomentazioni, viene ridimensionato e reso più compatibile con la ratio dell’accordo quadro, il principio postulato con la sentenza del 26 gennaio 2012 – C-586/10.
Come è evidente finora, nel suo pronunciamento, il lavoro della Corte è stata meramente esegetico e di mediazione, non apportando significative novità rispetto a quanto già deducibile dalla copiosa giurisprudenza in merito alla questione de quo.
Dove invece la sentenza del 14 settembre 2016 (causa C‑16/15) potrebbe sollevare non pochi polveroni, fungendo da grimaldello per scardinare scomode posizioni difensive, da parte degli Stati membri, della propria sovranità nazionale, è nei punti n. 55 e 56. In essi la Corte condannava la non effettiva tutela accordata dalla disciplina spagnola al lavoratore: la Ley 55/2003 (statuto quadro del personale con inquadramento statutario dei servizi sanitari) veniva considerata incompatibile con la ratio dell’accordo quadro nella parte in cui “non comporta nessun obbligo per l’amministrazione competente di creare ulteriori posti strutturali per mettere fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale”. Continuava la Corte: “Al contrario, dalle constatazioni fatte dal giudice del rinvio emerge che i posti strutturali creati saranno destinati a personale nominato per la copertura di posti «a termine», senza che, nei loro riguardi, esista una limitazione relativa alla durata dei contratti sostitutivi né al numero dei loro rinnovi, di modo tale che la situazione di precarietà dei lavoratori, in realtà, è perpetuata”.
La definitiva risposta nel merito al giudice del rinvio, relativamente alla questione di maggior interesse a livello di evoluzione giurisprudenziale, è che la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo da non prevedere alcun obbligo per l’amministrazione competente di creare posti strutturali che mettano fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale e in modo da permetterle di destinare i posti strutturali creati all’assunzione di personale a termine, consolidando la situazione di precarietà dei lavoratori.
E’ chiaro quindi come la sentenza vada ad incidere in maniera decisiva sulla sovranità statale residua in tale materia, stante anche, come la maggioritaria giurisprudenza sostiene, la potenziale validità non solo tra le parti ma anche erga omnes (e per di più retroattiva) delle pronunce derivanti da rinvii pregiudiziali.
Non resta che vedere come la portata innovativa della sentenza inciderà sulla già precaria “legittimità comunitaria” della normativa italiana in materia di non convertibilità dei contratti a termine nel pubblico impiego in contratti a tempo indeterminato.
Fonte: Altalex
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