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Con l’espressione “in house providing” si fa riferimento all’istituto, nato nel diritto giurisprudenziale comunitario, per cui un’Amministrazione aggiudicatrice dello Stato possa, per lo svolgimento dei compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici, derogare alle regole della concorrenza per il mercato decidendo di provvedervi in proprio, avvalendosi di una società esterna, ovvero di un ente soggettivamente separato, che però presenti delle caratteristiche tali da poter essere considerato alla stregua di una longa manus dell’Amministrazione stessa.Tale istituto viene per la prima volta delineato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98, relativa al caso Teckal: si sostiene, infatti, che l’avvio di una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente non fosse necessario ogniqualvolta, da una parte, l’Ente pubblico aggiudicatore esercitasse sull’aggiudicatario quello che viene definito come un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi e, dall’altra, contestualmente l’aggiudicatario svolgesse la parte più importante della propria attività a favore dell’Ente locale che lo controlla.

Ciò trovava la sua giustificazione giuridica nella considerazione che, al ricorrere di tale duplice condizione, era possibile considerare assente quella situazione di alterità tra l’Amministrazione aggiudicatrice e l’ente aggiudicatario necessaria per il ricorso alle procedure di evidenza pubblica.

Nella giurisprudenza comunitaria successiva alla sentenza Teckal non sono ovviamente mancate le occasioni per delineare in maniera più approfondita i due requisiti per l’affidamento in house.

Così, relativamente alla nozione di “controllo analogo”, immediatamente inteso quale controllo c.d. strutturale, i giudici comunitari hanno dapprima sostenuto che, affinché sussistesse tale controllo, fosse sufficiente una partecipazione totalitaria dell’Amministrazione di riferimento (Corte di Giustizia UE, 11 gennaio 2005, C-26/03, caso Stadt Halle), salvo integrare in un secondo momento tale principio affermando la necessità che l’Amministrazione, socio al 100%, avesse l’effettiva possibilità di influenzarne sia le decisioni importanti sia, di conseguenza, gli obiettivi strategici della società controllata (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, C-458/03, caso Parking Brixen).

Con riferimento al requisito dello svolgimento dell’attività della società prevalentemente a favore dell’Ente pubblico controllante i giudici di Strasburgo hanno invece chiarito che con il concetto di attività prevalente o più importante si debba far riferimento alla necessità che le prestazioni della società siano destinate in via principale all’Amministrazione e che, viceversa, ogni altra attività di impresa abbia solo un mero carattere marginale, promuovendo così una valutazione in concreto di tutte le circostanze, sia qualitative che quantitative (Corte di Giustizia UE, 13 novembre 2008, C-340/04, caso Carbotermo).

La previsione di tali caratteristiche ha comportato sul piano organizzativo una rilevante deroga all’assetto societario disegnato dal codice civile tale da condurre alla prospettazione di due diverse ricostruzioni relative alla natura giuridica delle società in house.

Un primo orientamento, affermatosi in sede di giurisprudenza di legittimità, ritiene che queste non siano dei veri e propri soggetti giuridici mancando, di fatto, il requisito dell’alterità soggettiva rispetto all’Amministrazione pubblica: si evidenzia, infatti, come ciò che davvero è difficile conciliare la configurazione della società di capitali, intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, con la completa assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale. Ne consegue che la società in house non pare in grado di collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa altro non è che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (ex multis Cassazione civ., Sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283).

Un secondo orientamento, invece, rileva come la società in house debba essere considerata alla stregua di una vera e propria società di natura privata dotata di una sua autonoma soggettività giuridica: ai sensi del primo comma dell’articolo 2331 c.c. con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista, infatti, personalità giuridica; sussiste, pertanto, l’esigenza di tutelare i terzi ed i creditori che, instaurando rapporti con la società, fanno legittimo affidamento sulla sua autonoma soggettività.

Proprio questa seconda impostazione sembra trovare una rispondenza nel recente D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici ed in cui il legislatore, recependo le Direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, disciplina anche l’istituto dell’in house providing.

Così l’articolo 5 del Codice dei contratti pubblici, riprendendo l’articolo 12 della Direttiva n. 2014/24/UE in materia si appalti pubblici, stabilisce le condizioni che, se soddisfatte, consentono l’affidamento in house: in tal senso si richiede anzitutto che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sul soggetto aggiudicatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi consistente nell’esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti; in secondo luogo viene fissato un preciso limite percentuale, pari all’80%, idoneo a valutare la sussistenza del requisito dell’attività prevalente nei confronti dell’Ente pubblico; viene inoltre ribadita la necessaria totale partecipazione pubblica dell’Amministrazione di riferimento, pur ammettendo la possibilità di configurare l’istituto dell’in house providing anche in presenza di forme di partecipazione diretta di capitali privati, a condizione che queste – prescritte dalle disposizioni legislative nazionali ed in conformità dei Trattati – non consentano di esercitare un’influenza determinante sulla società controllata.

L’articolo 177 del citato decreto sancisce invece l’obbligo per i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del Codice, di affidare mediante procedura ad evidenza pubblica una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000,00 euro; solo la restante parte può essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati. L’articolo 177 tuttavia non prevede l’estensione dell’obbligo anche nei confronti di coloro che divengano titolari di concessioni in un momento successivo all’entrata in vigore del Codice facendo invece riferimento alle concessioni già in essere: non appare in tal senso semplice comprendere se la mancata estensione dell’obbligo sia frutto di una ponderata scelta del legislatore di scostarsi dalla legge delega o se, viceversa, si tratti di una mera svista.

Con l’articolo 192 del Codice è infine istituito presso l’ANAC un elenco delle Amministrazioni aggiudicatrici e degli Enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L’inscrizione avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti di cui all’articolo 5, ed è sufficiente la presentazione della domanda si iscrizione per consentire alle Amministrazioni di effettuare affidamenti diretti dei contratti all’ente strumentale. La norma in esame stabilisce inoltre l’obbligo di una preventiva valutazione della congruità economica dell’offerta del soggetto in house, da effettuarsi avendo riguardo all’oggetto ed al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Studio Legale Agrigento

Fonte: Diritto24
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