In caso di sinistro stradale, il coniuge trasportato comproprietario dell’autovettura, il quale subisca un danno alla persona, ha diritto alla copertura assicurativa?
Al quesito risponde la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, con la sentenza 6 ottobre 2016, n. 19986.
Il trasportato, anche se coniuge comproprietario del veicolo in regime di comunione legale, ha sempre diritto al risarcimento.
Il fatto
Un signora, trasportata sull’autovettura del marito, rimaneva coinvolta in un sinistro stradale. Citava pertanto in giudizio i responsabili e la compagnia assicurativa onde ottenere il ristoro dei danni subiti. Tribunale e Corte di Appello rigettavano la domanda ritenendo che all’epoca dei fatti (28.04.1991) non fosse applicabile la riforma contenuta nella L. 19.02.1992 n. 142 (attuativa della Direttiva CEE 84/5) e che, conseguentemente, applicandosi il disposto normativo nella formulazione previgente (art. 4 della L. 1969/990), il coniuge non potesse essere considerato “terzo”.
La normativa
La vicenda de qua è caratterizzata dalla necessaria analisi della stratificazione normativa intervenuta a fronte della successione temporale di diversi provvedimenti.
La norma originaria (art. 4 lettera c L. 1969/990) escludeva il diritto al risarcimento del terzo trasportato, specialmente qualora lo stesso fosse il coniuge del responsabile civile (art. 4 lettera b L. 1969/990).
Tale normativa subiva una prima modifica a mezzo del D.L. 1976/857 (convertito con L. 26.02.1977 n. 39), che estendeva l’obbligo di copertura assicurativa ai terzi trasportati (anche su veicolo privato), ma nondimeno manteneva l’esclusione della copertura nei confronti del coniuge. Giova precisare come tale provvedimento normativo costituisse l’attuazione (tardiva) in Italia della Prima Direttiva in materia di responsabilità civile da circolazione di autoveicolo (Direttiva CEE 72/166).
Successivamente (in data 30.12.1983) era emanata la Seconda Direttiva in materia di responsabilità civile da circolazione di autoveicoli (Direttiva CEE 84/5) la quale imponeva espressamente (art. 3) agli Stati Membri di vietare l’esclusione in base a “legame di parentela” del beneficio dell’assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone. Tale Direttiva prevedeva come termine di attuazione la data del 31.12.1987 (che era disatteso dalla Repubblica Italiana).
In data 23.04.1991 (con deposito in data 02.05.1991), peraltro, interveniva in materia anche la Sentenza n. 1991/188 della Consulta, la quale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 L. 1969/990 nella parte in cui escludeva il beneficio dell’assicurazione, per i soli danni alle persone (con esclusione pertanto dei danni alle cose), in favore del coniuge.
Infine, in attuazione della Direttiva CEE 84/5 e della recente pronuncia della Consulta, era approvata la L. 19.02.1992 n. 142, che nuovamente modificava l’art. 4 della L. 1969/990 limitando l’esclusione del risarcimento per i soli danni alle cose.
La decisione
Contra la detta decisione di rigetto la danneggiata proponeva ricorso in Cassazione, rilevando nel primo motivo come la L. 19.02.1992 n. 142 fosse entrata in vigore oltre il termine previsto dalla Direttiva CEE 84/5 (31.12.1988) e che pertanto, ritenuta la prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale, il Giudice avrebbe dovuto comunque applicare alla vicenda de qua le prescrizioni imposte dalla detta Direttiva comunitaria.
La Suprema Corte, con la propria decisione, ha accolto il ricorso cassando con rinvio la sentenza impugnata, sebbene su principi parzialmente diversi da quello esposto nel motivo di ricorso esaminato.
In particolare, anche l’attuale pronuncia si pone nel solco del filone stabilizzato dalla Sentenza 16.03.2009 n. 6316 delle Sezioni Unite, successivamente ribadito in diverse statuizioni (Cass., Sez. III civ., 26.10.2009 n. 22605, Cass., Sez. III civ., 20.12.2011 n. 27581, Cass., Sez. III civ. 09.03.2012 n. 3715, Cass., Sez. III civ., 19.06.2015 n. 12687).
Di fatto, la Suprema Corte ha ritenuto che già la modifica attuata dal D.L. 1976/857 (in particolare al secondo comma dell’art. 1 della L. 1969/990), a fronte di una sua lettura compatibile con il diritto comunitario, avesse imposto (fin da allora) la regola generale dell’estensione del beneficio assicurativo in favore di tutti i trasportati.
In particolare, con riferimento al diritto comunitario, la Suprema Corte menziona nell’attuale pronuncia la Sentenza CGUE Churchill Insurance/Wilkinson, la quale evidenzia come l’obiettivo contenuto nelle Direttive Comunitarie emanate in materia consista “nel garantire che l’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli consenta a tutti i passeggeri vittime di un incidente causato da un veicolo di essere risarciti dei danni dai medesimi subiti.”.
Il detto principio (c.d. vulneratus ante omnia reficiendus), nello specifico, escluderebbe la possibilità di operare distinzioni (ai fini della sussistenza della copertura assicurativa) sul passeggero trasportato, rendendo ininfluente l’eventuale circostanza che lo stesso fosse anche proprietario del veicolo (condotto nel caso da altro soggetto).
Il detto principio, rinvenibile nelle Direttive Comunitarie, costituirebbe il necessario faro orientativo per l’interprete che dovrebbe leggere le disposizioni solo in linea con il medesimo, disapplicando di conseguenza le eventuali norme nazionali (e, pertanto, l’art. 4 L. 1969/990, applicabile ratione temporis) e rilevando la nullità (per contrasto con norma imperativa – nella specie di diritto comunitario) di eventuali clausole pattizie contrastanti (tra le quali la c.d. clausola di guida esclusiva).
Alla luce della detta considerazione, la Corte di Cassazione rilevava, di conseguenza, come fosse irrilevante la circostanza che il passeggero trasportato fosse anche proprietario dell’autoveicolo.
La detta pronuncia, in conclusione, conferma ulteriormente il principio espresso dalle Sezioni Unite del 2009, attestando ulteriormente l’orientamento di favore nei confronti delle vittime espresso dalle Direttive Comunitarie.
Fonte: Altalex
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