Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4397/2016, nega le cure sul territorio italiano per chi potrebbe curarsi nel Paese d’origine; in caso contrario, le cure in Italia sono garantite solo se si rispetta l’iter previsto dalla legge.
“Pensa alla salute!”, ci raccomandano amici e parenti invitandoci a dare il giusto peso alle cose. Ma forse i nostri cari non sanno che il diritto alla salute trova riconoscimento anche a livello internazionale da parte Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo (assemblea ONU 10 dicembre 1948), oltre che da un’organizzazione costituita ad hoc: l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Salute).
All’insegna del motto “la salute per tutti” , l’OMS intende rappresentare l’idea, come scritto nell’atto costitutivo dell’istituto, che «il godimento del miglior stato di salute raggiungibile costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, opinioni politiche, condizione economica o sociale».
Immigrazione illegale e diritto alla salute in Italia
A livello interno il diritto alla salute è tutelato dall’art. 32 della Costituzione Italiana, a norma del quale «La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
A fronte di cotante dichiarazioni di principio sembra proprio che il diritto a vivere in salute non possa essere negato a nessuno; ma cosa accade se la richiesta di cure viene effettuata da un immigrato senza regolare permesso di soggiorno? La questione è giunta alla ribalta delle cronache, a seguito di un’importante pronuncia espressa, in merito, dal Consiglio di Stato.
Immigrazione illegale e diritto alla salute: il caso
Una donna di origini colombiane, con decreto del 22 gennaio 2008, si vedeva negato dal Questore della Provincia di Brescia, l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche, essendo affetta da sindrome di immunodeficienza acquisita.
L’interessata, impugnava il decreto dinnanzi al TAR della Lombardia che, se da un lato accoglieva l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato (peraltro in sede di appello, con l’ordinanza del 27 luglio 2012, n. 2969, l’istanza di sospensione veniva respinta), dall’altro, con la sentenza del 28 dicembre 2011, n. 1813, respingeva il ricorso.
Le motivazioni, derivano dal fatto che, come confermato da accertamenti svolti dall’Ambasciata italiana a Bogotá, «esistono in Colombia mezzi idonei a garantire le cure ed i controlli del caso, secondo le procedure ed i medicinali di cui necessita» l’interessata, che peraltro, si ricorda, non è entrata in Italia con regolare visto.
La donna, senza perdersi d’animo e convinta nel suo diritto ad essere curata in Italia, proseguiva proponendo appello, nel giugno 2012, dinnanzi al Consiglio di Stato, che respingeva definitivamente le sue ragioni. Vediamo perché.
Immigrazione illegale e diritto alla salute: la decisione del Consiglio di Stato
Sul presupposto che il diritto alla salute spetta a ciascun individuo, il giudice, con la sentenza n. 4397/2016, del 13 Ottobre 2016, si è espresso negativamente, rigettando il ricorso, sulla scia di quanto già esposto in primo grado, ossia per l’esistenza di centri medici in grado di fornire le cure appropriate nel Paese d’origine.
Il giudice prosegue affermando che, in caso contrario, qualora nel Paese d’origine venisse accertato che le cure necessarie per la patologia della ricorrente non fossero garantite o, addirittura, non fossero possibili, deve essere seguita una particolare procedura con cui il malato straniero può ottenere uno speciale visto di permanenza sul territorio italiano, concesso fino al termine delle cure necessarie.
La procedura in questione, è prevista dall’art. 36, T.U. sull’immigrazione n. 286/1998, secondo cui : «Lo straniero che intende ricevere cure mediche in Italia e l’eventuale accompagnatore possono ottenere uno specifico visto di ingresso ed il relativo permesso di soggiorno. A tale fine gli interessati devono presentare una dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura, la data di inizio della stessa e la durata presunta del trattamento terapeutico, devono attestare l’avvenuto deposito di una somma a titolo cauzionale, tenendo conto del costo presumibile delle prestazioni sanitarie richieste, secondo modalità stabilite dal regolamento di attuazione, nonché documentare la disponibilità in Italia di vitto e alloggio per l’accompagnatore e per il periodo di convalescenza dell’interessato.» .
La donna, non avvalendosi di tale procedura, pertanto, non potrà proseguire la sua permanenza nello Stato Italiano e dovrà tornare in Colombia per essere curata.
Il diritto alla salute, quindi, rimane salvo da ogni sua violazione; ma occhio alla burocrazia e alle cure mediche che ogni Paese d’origine, un po’ per davvero un po’ per fare “bella figura” a livello internazionale, garantisce ai suoi cittadini.
Fonte: MasterLex
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