La Cassazione Penale, nella sentenza n. 17944 del 29.04.2014, si è pronunciata sull’art. 497 bis c.p. in tema di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi ed, in particolare, sul significato dell’espressione “trovato in possesso”.
Ai sensi dell’art. 497-bis c.p. «Chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l’espatrio è punito con la reclusione da uno a quattro anni».
Nel caso di specie la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza di merito che aveva ritenuto penalmente rilevante la condotta dI un soggetto che, ferito da un colpo di arma da fuoco ed in attesa dei soccorsi, dallo stesso chiamati, aveva gettato in due diversi tombini il falso passaporto e la patente (in relazione alla quale era intervenuta assoluzione in primo grado).
L’imputato, difatti, veniva condannato in secondo grado alla pena di anni uno mesi sei di reclusione ai sensi dell’art. 497 bis c.p. per aver formato, apponendovi anche la propria fotografia, un falso passaporto ( quindi valido per l’espatrio) apparentemente emesso dallo Stato rumeno ed intestato ad altro nominativo.
Doverosa la premessa in fatto, la Corte si è soffermata, stante la particolarità della condotta appena descritta e della stretta correlazione tra l’agente ed il documento falso, sul significato dell’espressione “trovato in possesso”. Il difensore dell’imputato ricorreva in Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 497 bis c.p. poiché, la condotta punita da quest’ultimo, richiederebbe qualecondizione di punibilitàla flagranza del possesso.
Ebbene la Corte di Cassazione, pur condividendo le conclusioni della Corte d’Appello di Bologna, alle stesse vi giunge seguendo un iter ed un ragionamento completamente diversi. L’argomentazione del giudice di secondo grado secondo cui “il possesso non era cessato perché il ricorrente aveva l’intenzione di andare a recuperare il documento” costituisce, per i giudici di legittimità, “un puro e semplice (ma riconoscibile) escamotage logico, con il quale si tenta di sovrapporre un dato soggettivo (l’animus dell’imputato) ad uno oggettivo (la perdita di controllo, sia pur volontaria, sul passaporto, “lasciato” in un tombino nella pubblica via)”. Ed infatti, continua la Corte, essendo pacifica la dinamica e la ricostruzione dei fatti, bisogna interrogarsi sucosa abbia voluto intendere il legislatore quando ha previsto la punibilità nei confronti di “chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l’espatrio”.
A tal proposito la sentenza in commento offre un ottimo spunto di riflessione sulla ratio e sugli elementi tipici del reato di cui all’art. 497 bis c.p..
La Corte, quindi, conclude che “con l’espressione “trovato in possesso” il legislatore non abbia inteso far riferimento al momento della “sorpresa” dell’agente da parte delle forze dell’ordine, ma semplicemente abbia voluto (con evidente improprietà espressiva) descrivere la situazione di chi possiede o ha certamente posseduto, senza averlo confezionato, il falso documento”. Non diversamente da quanto avviene per altre res prohibitae, quali armi clandestine o sostanze stupefacenti, il possesso di documenti falsi validi per l’espatrio è vietato e punito poiché si tratta di un oggetto che mai dovrebbe essere detenuto.
L’elemento materiale dell’art. 497-bis c.p., pertanto, non va inteso nel senso che l’agente deve essere colto in flagranza di possesso, bensì nel senso che “egli abbia, o abbia avuto, la disponibilità del documento, e con essa, una possibilità di utilizzo”. E’, pertanto, sufficiente che il soggetto lo abbia certamente detenuto anche in un momento precedente all’accertamento delle forze dell’ordine. Da ciò ne consegue che, se tale detenzione vi sia stata, il fatto che il soggetto agente si sia liberato del passaporto prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, non può rappresentare né desistenza volontaria né ravvedimento operoso, ma “costituisce un mero post factum non punibile diretto ad impedire l’accertamento del reato”.
Fonte: Diritto Insieme
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