La donna che minacci reiteratamente l’amante sposato di mostrare immagini compromettenti alla moglie, commette un unico reato di estorsione se gli atti intimidatori costituiscono singoli momenti di un’unica azione perché sorretti da una sola determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze.
La vicenda scaturisce da un rapporto extraconiugale tra un uomo sposato ed una donna. Alla conclusione della relazione, l’amante costringe l’uomo a consegnarle 1 milione di lire e, successivamente, 5 milioni in cambio del proprio silenzio. In primo ed in secondo grado, la donna viene condannata per estorsione con pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Si giunge in Cassazione.
La condotta della rea integra un tipico esempio di reato estorsivo; ella, infatti, aveva costretto il suo ex amante alla dazione di ingenti somme di denaro, procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno. In particolare, la prospettazione del male ingiusto consisteva nella minaccia di mostrare alla moglie delle immagini compromettenti che li ritraevano. La suddetta minaccia rappresentava il mezzo per costringere la vittima a «fare qualcosa» – come richiede la norma incriminatrice – nel caso di specie, consegnare del denaro.
In tema di estorsione, è indifferente la forma della minaccia, che può atteggiarsi come esplicita, implicita, larvata, diretta o indiretta, ciò che rileva è la sua idoneità, in relazione alla circostanze concrete, ad incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo1. Nella fattispecie oggetto di scrutinio, l’uomo era stato costretto a porre in essere un atto di disposizione patrimoniale per scongiurare il male prospettato. Tale atto dispositivo era andato a suo nocumento (deminutio patrimonii) ed a vantaggio del soggetto agente (iniusta locupletatio). Il profitto2 tratto dalla condotta su descritta era di natura patrimoniale (6 milioni di lire) ed ingiusto in quanto conseguito con mezzi antigiuridici. Si ricorda che l’art. 629 c.p. è un reato pluri-offensivo che tutela sia l’inviolabilità del patrimonio che la libertà personale.
Nella disamina del caso in oggetto, la Suprema Corte3 non torna sulle circostanze di merito, ma si pronuncia unicamente in materia di continuazione. Le due dazioni di denaro, cronologicamente distanti, secondo la pronuncia impugnata avrebbero dato luogo a due autonomi reati rientranti nel medesimo disegno criminoso (art. 81 c. 2 c.p.) mentre, secondo la ricorrente, trattavasi di un’unica azione estortiva.
I Supremi Giudici accolgono il citato motivo di ricorso; secondo la giurisprudenza dominante, il reiterarsi di minacce non dà luogo, di per sé, ad una pluralità di reati in quanto, per appurarlo, occorre porre mente ad un duplice criterio: teleologico e cronologico. «Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria, la cosiddetta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica. I diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi reati, unificabili con il vincolo della continuazione,quando, singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all’elemento temporale,appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo reato di estorsione, pur in presenza di diversi atti intimidatori, allorché gli stessi costituiscono singoli momenti di un’unica azione perché sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze».
Secondo il percorso argomentativo seguito dagli Ermellini, in buona sostanza, è pur vero che le dazioni di denaro erano state due, ma rappresentavano espressione di una sola e continua determinazione e, quindi, costituivano momenti di un’unica azione.
Fonte: Professione Giustizia
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