La possibilità di cambiare, per il datore di lavoro, l’orario individuale dei dipendenti, richiede un apposito accordo in tal senso soltanto se il lavoratore ha un orario part time; nel caso in cui il contratto sia a tempo pieno, la variazione dell’orario da parte dell’imprenditore è libera, ma deve comunque rispondere a dei criteri e non può essere esercitata arbitrariamente.
Clausole elastiche e flessibili
In particolare, se il rapporto lavorativo è atempo parziale, perché vi sia una variazione oraria devono essere espressamente pattuite, all’interno del contratto di lavoro (se lo prevede il contratto collettivo) o in sede protetta, secondo quanto disposto dal Testo Unico dei contratti di lavoro , le clausole elastiche. Per clausole elastiche si intendono degli accordi volti all’aumento o alla variazione (clausole flessibili) dell’orario lavorativo, variazione per la quale, peraltro, è dovuta una maggiorazione della paga.
Part time: diritto alla programmazione del tempo libero
Queste regole non valgono, invece, nei confronti dei lavoratori a tempo pieno: in tema di orario di lavoro, difatti, i limiti al diritto dell’imprenditore di variare la collocazione temporale dell’attività lavorativa sono previsti per i soli dipendenti part time, in quanto prevale il loro interesse alla programmabilità del tempo libero; laprogrammazione del tempo libero potrebbe essere essenziale per questi soggetti, in quanto potrebbero svolgere un’ulteriore attività lavorativa.
L’impossibilità di modificare unilateralmente l’orario di lavoro, da parte del datore, non può essere invece estesa al contratto di lavoro a tempo pieno, dato che non esiste un’uguale esigenza di tutelare il tempo libero per svolgere una differente attività. Una simile limitazione, non essendo dunque fondata sulla tutela di superiori interessi del lavoratore, si tradurrebbe nella negazione del diritto dell’imprenditore di organizzare l’attività lavorativa, diritto riconosciutogli dal Codice Civile .
Questi principi, peraltro, sono stati chiariti da una recente sentenza del Tribunale del lavoro di Verona.
Cambio turno: dipendenti full time
Tuttavia, il fatto che il datore di lavoro abbia il potere di variare unilateralmente l’orario, nei confronti del dipendente full time, non implica che questo potere sia illimitato e possa essere esercitato in modo arbitrario: il diritto di modificare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti, anche per quanto concerne la distribuzione del lavoro nell’ arco della giornata, deve infatti rispondere a delle esigenze organizzative, tecniche o produttive dell’impresa.
Il datore di lavoro, in particolare, è tenuto, nelle sue scelte, a seguire i criteri della buona fede e della correttezza, che valgono come regola generale nell’ esecuzione del contratto: una variazione oraria che non risponde alle esigenze dell’impresa è senza dubbio contraria alla buona fede e alla correttezza. Pertanto, nel caso in cui il mutamento dell’orario di lavoro non risponda a precise esigenze dell’azienda ma risulti irragionevole rispetto alle stesse, la variazione è da considerarsi illegittima e deve essere ordinato il ripristino del precedente orario di lavoro: quest’orientamento è stato confermato dalla Pretura di Milano.
Il potere di variare unilateralmente l’orario lavorativo, da parte dell’imprenditore, deve poi rispettare:
Variazione di orario e mansioni
In diversi casi, alla variazione del turno consegue anche la variazione delle mansioni. A tal proposito, bisogna sapere che gli stessi principi che limitano il diritto dell’imprenditore alla variazione dell’orario di lavoro, limitano anche il suo diritto alla variazione delle mansioni. Il diritto al mutamento delle mansioni da parte del datore di lavoro, poi, incontra ulteriori limiti quando la variazione si tramuta in un demansionamento, cioè quando il dipendente è adibito a mansioni inferiori.
Il demansionamento, nel dettaglio, secondo il Testo Unico dei contratti di lavoro, può avvenire anche senza bisogno di un accordo, in caso di modifica dell’organizzazione aziendale che incida sulla posizione del dipendente e in altre ipotesi previste dai singoli contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali.
In questi casi, però, il livello di retribuzione non può essere peggiorato, ma possono essere tolte alcune spettanze legate a determinate modalità di svolgimento della precedente attività.
Inoltre, quando la modifica delle mansioni incide sulla professionalità del lavoratore, la possibilità di demansionamento da parte dell’azienda si scontra con la tutela dell’esperienza e delle competenze del dipendente, nonché della sua integrità fisica e psicologica.
È dunque difficile che un giudice riconosca la legittimità del cambio di mansioni disposto unilateralmente dal datore di lavoro, se questo va a incidere sulla professionalità del lavoratore.
Fonte: La Legge per tutti
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