Integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. E ciò appare da configurare nel caso, corrispondente a quello di specie, in cui la condotta consista nella ricezione di somme di provenienza illecita su conti correnti personali e nella successiva effettuazione di operazioni bancarie comportanti ripetuti passaggi di denaro di importo corrispondente su conti di diverse società, oggettivamente finalizzate alla schermatura dell’origine delle disponibilità (cfr. Cass. n. 3397/2013, che ha ravvisato riciclaggio anche con riferimento a fattispecie concernenti la effettuazione di versamenti di denaro di illecita provenienza in favore di varie società controllate dall’imputato, attraverso il temporaneo utilizzo di “conti di sponda” su cui affluiva in modo da non conservare traccia delle operazioni, mancando gli elementi identificativi della provenienza delle somme confluite nelle società, sia della destinazione di quelle dalle stesse defluite). In relazione alla confiscabilità del denaro ex art. 12-sexies del DL 306/92, inoltre, occorre considerare che, alla accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio, scatta una presunzione “iuris tantum” di illecita accumulazione patrimoniale che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (cfr. Cass. n. 29554/2015). A fronte di ciò, è corretto reputare generica e non rilevante la documentazione che, seppure utile a dimostrare l’attività professionale all’estero del titolare dei beni, non ne dimostri la provenienza lecita. Che il soggetto fosse produttivo di reddito all’estero e non tenuto a presentare denuncia dei redditi in Italia, in quanto iscritto all’AIRE, è un “non fatto” inidoneo a superare la presunzione di illecita accumulazione dovuta alla carenza di specifiche giustificazioni circa la provenienza lecita del patrimonio. La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità della provenienza e non si risolve nella prova negativa della non provenienza dal reato per cui vi è stata condanna. La sproporzione, quindi, va calcolata avendo come punto di riferimento per il primo parametro il reddito netto (o l’attività economica) ossia la capacità reddituale.
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