L’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di società di capitali esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 del RD 267/42 compendia in sé le azioni di responsabilità della società (art. 2393 c.c.) e dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali. Essa, pur avendo contenuto inscindibile, offre al titolare la possibilità di scegliere quale in concreto esercitare e formulare istanze risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale verso la società, quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali. Tale scelta non è di poco conto, dal momento che tra le due azioni sussistono notevoli divergenze, non solo per quanto riguarda la decorrenza del termine di prescrizione, ma anche in relazione al diverso atteggiarsi dell’onere della prova e all’ammontare dei danni risarcibili (Cass. n. 15955/2012). Tuttavia, la scelta rappresenta evidentemente una facoltà, ben potendo il curatore scegliere di esercitare entrambe le azioni (anzi, come precisato da Cass. n. 10378/2012, laddove il curatore non abbia specificato il titolo sottostante, deve presumersi che abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni). Ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali occorre avere riguardo non al momento in cui essi abbiano avuto effettiva conoscenza dell’insufficienza patrimoniale, ma al momento, che può essere posteriore o anteriore al fallimento, in cui essi siano stati in grado di venire a conoscenza della situazione di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società (cfr. Cass. n. 9619/2009). L’onerosità della prova a carico del curatore ha indotto la giurisprudenza a introdurre una presunzione relativa (iuris tantum) di coincidenza del “dies a quo” con la dichiarazione di fallimento. Salva la prova contraria, a carico dell’amministratore, della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (Cass. n. 13378/2014). Tale prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio d’esercizio (Cass. n. 20476/2008), deve comunque avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza, nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa. 
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