Non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative.E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale del 6 luglio 2016, n. 193.
Nella specie, il Tribunale di Como sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, L. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede l’applicazione all’autore dell’illecito amministrativo della legge successiva più favorevole, in quanto in contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., e quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 4 agosto 1955, n. 848.
Come noto, il principio di legalità prevede che nessuno possa essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione; le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano solo nei casi e per i tempi in esse considerati.
Secondo il giudice rimettente, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, risiederebbe nel contrasto della disposizione censurata con il principio di retroattività della norma più favorevole, principio che sarebbe applicabile anche alle sanzioni amministrative.
La giurisprudenza della Grande Camera, infatti, ha più volte sottolineato come l’art. 7 CEDU non sancisca solo il principio di irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche implicitamente il principio delle retroattività della legge penale meno severa; “le disposizioni che definiscono le infrazioni e le pene sottostanno a delle regole particolari in materia di retroattività che includono anche il principio di retroattività della legge penale più favorevole all’imputato” (decisione 27 aprile 2010, Morabito contro Italia).
Secondo i giudici delle leggi, nell’affermare il principio della retroattività del trattamento sanzionatorio più mote, la giurisprudenza della Corte europea non ha mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, ma singole discipline sanzionatorie, in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale.
“L’intervento additivo invocato dal rimettente risulta, quindi, travalicare l’obbligo convenzionale: esso è volto ad estendere la portata del principio della retroattività della lex mitior al complessivo sistema sanzionatorio amministrativo, finendo così per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione come convenzionalmente penale”.
Anche con riferimento all’art. 3 Cost., la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale ha affermato che in materia di sanzioni amministrative non è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina (ordinanze n. 245 del 2003 e n. 501 del 2002).
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